mercoledì 1 febbraio 2012

Il dono più grande. Intervista con Gian Franco Svidercoschi

Giovanni Paolo II
“Nella preziosa eredità di Giovanni Paolo II c’è, soprattutto, il dono della testimonianza personale. Papa Wojtyla II ha fatto esperienza radicale del Vangelo, fino alla fine dei suoi giorni. C’è una santità che non è ufficiale ma quotidiana vissuta nei rapporti con gli altri, nei contatti, nella malattia, nella sofferenza. Era un Papa capace di chiedere scusa se riteneva di aver sbagliato e aveva una dimensione umana strettamente compenetrata con la capacità di vivere Dio in ogni momento della giornata. Questa santità è forse la cosa più nuova che Giovanni Paolo II ha lasciato: una religiosità che tutta la gente può vivere, semplice e profonda”. 
Dopo la firma di Benedetto XVI del decreto sulle “virtù eroiche” di Giovanni Paolo II (sabato 19 dicembre), il SIR ha chiesto a Gian Franco Svidercoschi, vaticanista e biografo di Papa Wojtyla, una lettura personale del processo di beatificazione in corso. 

I tempi per la beatificazione sono stati relativamente brevi… 
“Benedetto XVI si è limitato a derogare dalla regola iniziale e, invece di aspettare 5 anni dalla morte per poter avviare il processo, ha dato il permesso subito. Per il resto, è stato seguito l’iter normale. Tenuto conto dell’universalità del consenso di Papa Wojtyla, il Santo Padre non poteva che fare così. Durante i funerali è stato evidente che Giovanni Paolo II è riuscito a parlare e farsi accettare anche da persone di altre religioni. Ancora oggi ci sono credenti di fede diversa che continuano a visitare la sua tomba. Per questo, era quasi scontato che il Pontefice abbreviasse i tempi del processo”. 

La richiesta di santità è venuta soltanto da parte dei fedeli?  “La spinta per la beatificazione è stata contemporanea da parte dei fedeli e del Papa. Benedetto XVI è stato forse il maggior collaboratore di Giovanni Paolo II, perlomeno a partire dai primi anni ‘80. Due mesi fa l’ho incontrato per portargli l’ultimo libro pubblicato su Giovanni Paolo II (“Un papa che non muore”, San Paolo edizioni, ndr). Mentre mi stavo avvicinando, il Santo Padre mi ha detto con una battuta: ‘Sì sì, lo so che ha scritto un nuovo libro sul Papa’, come se il Papa fosse ancora Giovanni Paolo II. È una testimonianza del rapporto stretto che li univa. Lo stimolo, dunque, è partito sia dal popolo di Dio che dal desiderio del Papa affinché fosse riconosciuto il ‘profumo di santità’ con cui Giovanni Paolo II ha inondato la comunità cattolica”. 

Chi ha raccolto l’eredità spirituale di Papa Wojtyla? 
“È significativo che i più piccoli, alcun appena nati quando il Papa è morto, sono entrati nell’umanità e nella religiosità gioiosa di Giovanni Paolo II attraverso il racconto dei padri, dei sacerdoti e della televisione. Senza renderci conto, Papa Wojtyla ha già operato una rivoluzione quotidiana con i protagonisti della Chiesa di oggi: i giovani. Rispetto alla fine degli anni ‘70, quando si pensava che le nuove generazioni si fossero allontanate definitivamente dalla Chiesa, c’è stato un ritorno d’interesse. Oltre ai giovani, i movimenti sono stati uno dei fenomeni più straordinari della seconda metà del XX secolo. Sono la risposta alle esigenze della Chiesa odierna, la dimensione missionaria che dovrebbe essere il completamento delle parrocchie. Sono i movimenti che hanno permesso alla Chiesa di raggiungere certi ambienti, soprattutto quelli giovanili e universitari, dove da anni la religione era in qualche modo messa da parte. Infine, le donne sono le vere protagoniste dell’eredità di Giovanni Paolo II: i giovani portano una percezione del futuro, i movimenti sanno affrontare le sfide della modernità ma grazie alle donne si recupera l’aspetto più misericordioso della Chiesa”. 

La testimonianza di Giovanni Paolo II è ancora viva nella Chiesa? 
“È una Chiesa che sta cambiando pelle, grazie al contributo di protagonisti come Papa Wojtyla. C’è una linea di continuità con il Pontefice attuale che supera ogni differenza, all’insegna di una religiosità che deve essere vissuta nella maturazione delle coscienze e non soltanto in risposta ad un imperativo morale. L’eredità di Giovanni Paolo II deve essere portata avanti in tempi difficili. All’epoca di Papa Wojtyla esistevano ancora le ideologie che, sebbene tendenzialmente negative, avevano all’origine delle idealità e dei valori da seguire. Oggi, in una società che ha fatto tabula rasa dei principi, Benedetto XVI ha forse un compito ancora più difficile: mentre Giovanni Paolo II attraversava i continenti per portare l’annuncio di Dio ai popoli del mondo, Papa Ratzinger è chiamato a viaggiare all’interno dell’uomo contemporaneo perché è lì che Dio è stato cancellato”. 

Pubblicato in: Sir Italia n.89 del 23 dicembre 2009

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