giovedì 22 settembre 2011

Il volto di Cristo

Volto di Cristo
Il pesce, l’ancora, la colomba. Tra le immagini scelte dalle prime comunità cristiane per rappresentare la figura di Gesù, l’emblema del pesce è forse quello che meglio incarna la volontà di creare simboli interpretabili soltanto dagli iniziati. Il significato è da ricercarsi nelle lettere che compongono la parola greca iχϑύς, acronimo della frase Iesus Christos Theou Yios Soter ovvero “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”. Per la nascente comunità cristiana, perseguitata e messa al bando, l’uso del simbolismo diviene necessario per poter richiamare visivamente la fede comune. Così il Cristo Redentore si trasforma nel ritratto del Buon Pastore, nel monogramma ΧΡ, nella colomba o nella fenice che risorge dalla morte.
Bisogna però aspettare il II secolo per trovare la prima immagine di Gesù, graffita sulla parete della scuola degli schiavi imperiali sul Palatino. Un uomo crocifisso con testa di asino e una donna che prega ai piedi della croce. L’iscrizione sottostante recita: “Alessameno adora Dio”. È significativo notare che l’effigie di Cristo più antica a nostra disposizione lo rappresenti con testa di animale. Diverse fonti, tra le quali il pensatore cristiano Tertulliano, attestano la consuetudine pagana di schernire i cristiani come adoratori di un asino. Minucio Felice, nel dialogo “Ottavio”, scrive: “Sento dire che i Cristiani venerano la testa della bestia più spregevole, l'asino, non so per che futile motivo”. Soltanto nel IV secolo Gesù compare in forma antropomorfa nelle catacombe di Comodilla con volto e caratteristiche che ricalcano la tipologia etnica di appartenenza: capelli scuri e mossi, barba folta e lunga. Da questo momento l’idea del ragazzo sbarbato che si ritrova nelle immagini allusive dei primi tre secoli del cristianesimo, derivata dal modello del pagano Apollo, si affianca alla concezione di un uomo più verosimile al Cristo realmente esistito.

mercoledì 7 settembre 2011

Custodi della bellezza. Chiesa e artisti

Cappella Sistina
"Bisogna ristabilire l'amicizia tra la Chiesa e gli artisti" perché "se Noi mancassimo del vostro ausilio, il ministero diventerebbe balbettante ed incerto e avrebbe bisogno di fare uno sforzo, diremmo, di diventare esso stesso artistico, anzi di diventare profetico", mentre "per assurgere alla forza della espressione lirica della bellezza intuitiva, avrebbe bisogno di far coincidere il sacerdozio con l'arte". Nel giorno della solennità dell'Ascensione (7 maggio 1964), Paolo VI celebra la messa per gli artisti nella Cappella Sistina e ricorda loro che "fra sacerdote e artista c'è una simpatia profonda e una capacità d'intesa meravigliosa". In occasione del 45° anniversario dell'omelia di papa Montini e a dieci anni dalla Lettera di Giovanni Paolo II agli artisti (4 aprile 1999), giovedì 10 settembre è stato presentato in Vaticano l'incontro di Benedetto XVI con gli artisti che avrà luogo il prossimo 21 novembre.

Tesori del cielo. Nel ricordare che "l'arte dovrebbe essere intuizione, dovrebbe essere facilità, dovrebbe essere felicità", Paolo VI sottolinea che gli artisti hanno "anche questa prerogativa, nell'atto stesso che rendete accessibile e comprensibile il mondo dello spirito: di conservare a tale mondo la sua ineffabilità, il senso della sua trascendenza, il suo alone di mistero, questa necessità di raggiungerlo nella facilità e nello sforzo allo stesso tempo". Inoltre, prosegue il Pontefice, "il Nostro ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito, dell'invisibile, dell'ineffabile, di Dio" e "in questa operazione, che travasa il mondo invisibile in formule accessibili, intelligibili, voi siete maestri" perché "il vostro mestiere, la vostra missione; e la vostra arte è proprio quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità". Paolo VI insiste sulla necessità di "ritornare alleati": "Noi dobbiamo domandare a voi tutte le possibilità che il Signore vi ha donato, e, quindi, nell'ambito della funzionalità e della finalità, che affratellano l'arte al culto di Dio, noi dobbiamo lasciare alle vostre voci il canto libero e potente, di cui siete capaci.