giovedì 28 luglio 2011

Il cielo tra Bibbia, letteratura e cinema

Il cielo sopra Berlino (1987)
Figlio e sposo di Gea, la madre Terra, Urano rappresenta per la mitologia greca la divinità primordiale che personifica il cielo. Unico in grado di coprire interamente la superficie terrestre, Urano ebbe da Gea molti figli, tra i quali i sei Titani, le sei Titanidi, i tre Ciclopi e i tre Ecatonchiri. Stanca della violenza e dell’impulsività dello sposo, Gea implora i figli di proteggerla dalla bramosia del padre per prenderne il posto. All’appello materno risponde l’ultimo nato, Crono, che nel sonno evira Urano e ne getta i genitali in mare generando la dea dell'amore, Afrodite. Dal suo sangue caduto sulla terra nacquero le Erinni.
Fin dall’antichità il cielo ha identificato il luogo etereo della dimora di Dio e, nel corso dei secoli, ha offerto lo spunto di riflessione preferenziale per l’approfondimento del ragionamento scientifico, filosofico e teologico. In quasi tutte le lingue moderne, lo stesso termine “cielo” allude in maniera ambivalente al referente oggettivo e religioso. In inglese, ad esempio, la parola “sky” indica l’atmosfera terrestre mentre “heaven” si riferisce al significato trascendente. Così in ebraico i “shamayim”, forma plurale dei cieli, richiamano il senso religioso e “raqia” il racconto della cosmogonia. Nel periodo del Medioevo, sulla scorta della cosmologia tolemaica, era credenza diffusa che la Terra si trovasse immobile al centro di nove cieli intesi come sfere concentriche. Ogni sfera assumeva il nome dal pianeta che ospitava: Sole e Luna (considerati allora dei pianeti), Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno. A questi si sommava il “cielo delle stelle fisse”, dove erano incastonate le stelle, e il Primum mobile ovvero l’Empireo dove risiedeva Dio.
A ciascun cielo erano associati degli angeli responsabili del movimento. Convinzione che andrà sgretolandosi con le teorie copernicane e del pisano Galileo Galilei.

giovedì 14 luglio 2011

Soldati in Vietnam
1898, porto dell’Avana. Il cacciatorpediniere statunitense Maine, ancorato in acque cubane, esplode misteriosamente causando la morte di 260 persone. La stampa, ed in particolare il “New York Journal”, diffonde accuse e voci di sabotaggio rivolte agli spagnoli contribuendo a generare un clima di aspettativa per un intervento armato che miri a liberare Cuba dal dominio iberico. Su pressione dell’opinione pubblica il presidente William B. McKinley approva una risoluzione del Congresso che intima l’immediato ritiro delle forze militari spagnole dall’isola e, di fronte al rifiuto opposto da Madrid, giunge all’attesa dichiarazione di guerra. Per la prima volta, il potere dei media gioca un ruolo fondamentale nel dare inizio ad un evento bellico ed offre lo spunto per riflettere sull’importanza che l’informazione ricopre nella narrazione della realtà.
Guerra e mass media sono legati da un rapporto profondo. Fatta eccezione per la stampa, la natura stessa dei mezzi di comunicazione di massa è debitrice nei confronti delle tecnologie sviluppate in ambito militare: la radio nasce per esigenze di comunicazione tra soldati, la televisione si sviluppa a partire dal radar e internet è figlio di un progetto avviato dal Ministero della Difesa statunitense per consentire il passaggio di informazioni anche in caso di attacco nucleare. Il legame si intreccia poi ancor di più per ragioni economiche e commerciali, dal momento che la guerra è per i media un terreno fertile dal quale raccogliere materiale che possa essere venduto al pubblico. A queste, si aggiungono anche le logiche giornalistiche che regolano il sistema: utilizzati per definire l’idoneità di un fatto a trasformarsi in notizia, i criteri di notiziabilità” rispondono a parametri di tempo, attualità, pubblico interesse, vicinanza fisica, importanza dei protagonisti e inusualità nonché conflittualità, emotività e drammaticità dell’evento narrato. Sono queste premesse che rendono evidente l’interesse mediatico per i fatti di guerra, rispetto ai quali l’intera collettività mostra una maggiore domanda di informazione che si trasforma in un surplus monetario per le imprese dei media. Ma la funzione svolta dal sistema informativo si estende anche al controllo e al racconto di quanto accade nelle sale dei bottoni e, soprattutto, nelle zone di conflitto.