martedì 15 giugno 2010

Una stagione nuova. Intervista con Luca Pancalli

Luca Pancalli
“Per il futuro ho sempre immaginato un movimento sportivo che riuscisse a racchiudere in una sintesi perfetta l'elemento agonistico e il reclutamento fra tutti i soggetti abili e disabili, che consenta di costruire una cultura sportiva del Paese oggi carente e artefatta”. Luca Pancalli, presidente del Comitato italiano paralimpico (Cip) e vicepresidente del Coni, è tornato in questi giorni dalla trasferta in Cina, dove dal 6 al 16 settembre si sono svolte le Paralimpiadi: “Accoglienza eccezionale sotto tutti i punti di vista. Non c'è stato nessun calo di attenzione rispetto alle Olimpiadi, sotto l'aspetto organizzativo e logistico, con una Pechino olimpica totalmente accessibile. Da questo punto di vista, è come se per il governo cinese le Paralimpiadi siano state l'occasione per rilanciare una stagione nuova di attenzione alle tematiche relative alle persone disabili”.

Con le 18 medaglie conquistate dall'Italia, si ritiene soddisfatto dello svolgimento delle Paralimpiadi per la nostra delegazione in Cina? 
“Siamo andati oltre le più rosee aspettative. Prima di partire, secondo un'analisi realistica e rigorosa, pronosticavo un risultato soddisfacente intorno alle 15 medaglie. Essere arrivati a 18 è un importante successo considerando gli incidenti, la sfortuna e gli infortuni agli atleti. Rispetto ad altri Paesi europei paghiamo lo scotto di poter godere di risorse importanti soltanto dagli ultimi due anni, da quando prima il governo di centro-sinistra e poi quello di centro-destra hanno preso consapevolezza dell'importanza del movimento. Nonostante la 28ª posizione in classifica generale non mi soddisfi in relazione al livello che un Paese come il nostro dovrebbe esprimere, essere riusciti a salire tre posizioni rispetto ad Atene in una Paralimpiade dall'altissimo livello tecnico mi spinge a migliorare le criticità del nostro sistema sportivo”. 



Qual è la sua impressione rispetto alla copertura mediatica riservata all'evento? 
“Mi piace vedere il bicchiere mezzo pieno perché non ho mai creduto nelle rivoluzioni. Se la rivoluzione avesse portato a una grande attenzione mediatica, determinata soltanto dalla necessità di essere politicamente corretti, si sarebbe avuto un risultato nell'immediato che non avrebbe garantito quello che io vorrei si realizzasse nel Paese: un processo culturale che porti naturalmente a ritenere giusto dedicare quell'attenzione, perché si crede e non perché si deve. Il risultato ottenuto con un processo riformatore lento è un risultato dal quale non si torna più indietro. Rispetto al passato abbiamo fatto dei passi avanti, con la tv pubblica che ha dedicato quattro ore e mezza di diretta. Certamente la stampa, a parte poche testate sportive, ha un po' annullato le Paralimpiadi con trafiletti sui giornali. Ma io sono per la politica dei piccoli passi, piccoli ma sostenuti da un crescente grado di consapevolezza. Voglio che ci sia un'attenzione cosciente, per questo ho apprezzato che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega allo sport, Rocco Crimi, sia voluto venire in Cina per vedere e toccare con mano la realtà che la delegazione italiana stava vivendo”.

Il Comitato internazionale paralimpico ha deciso di cancellare le gare di corsa per le persone tetraplegiche, con la motivazione della scarsa presenza di atleti. Cosa ne pensa? 
“Sono molto preoccupato e critico nei confronti della politica che sta caratterizzando il Comitato internazionale. Oggi la Paralimpiade è un grande evento sportivo, mediatico ed economico che ha portato ad una necessaria «spettacolarizzazione» che rischia di compromettere la «mission» per cui il paralimpismo è nato: riconoscere eguali opportunità, diritto allo sport e all'agonismo alle persone disabili. Le conseguenze possono essere nefaste, come nel caso delle gare cancellate a causa di un numero non sufficiente di atleti. Ma io mi interrogo: se al mondo ci fossero soltanto quel numero di persone disabili che riescono ad arrivare a determinati livelli, perché negare loro il diritto di competere su un palcoscenico internazionale?”.

Che importanza riveste la pratica sportiva per una persona con disabilità? 
“È importante come lo è per qualsiasi persona. Lo sport è uno strumento che regala benessere fisico a chiunque, senza distinzione di età e condizione fisica. Sia per una persona disabile che per una abile, esiste poi un valore aggiuntivo nell'interesse degli Stati perché chi pratica sport ha una salute più forte e si rivolge meno al servizio sanitario nazionale. Ed è chiaro che una persona disabile può giovarne nei processi di riabilitazione, sentendosi protagonista dell'attività fisica”. 

Qual è il messaggio del presidente Pancalli per il futuro dello sport per persone disabili? 
“Una persona disabile è una persona che grazie allo sport non si ferma di fronte ai propri limiti. La dimostrazione è nei nostri atleti che, indipendentemente dal tipo di disabilità, hanno sviluppato al massimo le loro capacità. Oggi in Italia abbiamo potenzialmente 1 milione di persone disabili, fra i 6 e i 40 anni, che potrebbero essere avviate alla pratica sportiva. Ci sono oltre 145 mila bambini nelle scuole ai quali è negata l'ora di educazione motoria ed è quindi parzialmente negato un processo educativo che utilizza lo sport come elemento integrante. Paradossalmente, si potrebbe dire che alle persone disabili nella scuola viene riconosciuto soltanto parte di quel processo educativo. Credo che lo sport sia uno strumento educativo e un diritto che non deve escludere nessuno. Nella realtà cattolica, l'oratorio potrebbe essere una risorsa inestimabile che giochi un ruolo fondamentale per il futuro dello sport nel Paese, anche per le persone disabili”.

Pubblicato in: Sir Italia n. 65 del 26 settembre 2008

Nessun commento:

Posta un commento