martedì 11 maggio 2010

Il "segreto" di Antonio

Antonio Spica in una sosta del viaggio
“Sono partito per il pellegrinaggio verso Santiago di Compostela in un momento particolare della mia esistenza. Ero rimasto senza lavoro e senza soldi, avevo perso tutto quello che può essere considerato normalità e, nonostante ciò, mi sentivo bene. Il mio segreto è la fede, ed è una cosa che non mi piace raccontare a parole ma mostrare nella quotidianità con l'esempio della vita. La fede mi dà la forza e il desiderio di affrontare le difficoltà”. Antonio Spica è un pellegrino particolare. In carrozzina da 4 anni dopo un incidente stradale in moto, si è messo in strada, nel mese di maggio, con una easybike (uniciclo applicato alla carrozzina per pedalare con le braccia) ed ha percorso 880 chilometri attraversando la Spagna. “Una volta, ad Assisi - racconta - alcuni turisti mi osservavano mentre pregavo di fronte al crocifisso: dai loro sguardi traspariva la partecipazione di chi credeva stessi chiedendo un miracolo. In verità, il miracolo è già avvenuto nella vita di ogni giorno. Ma in quel momento ho pensato che avrei potuto fare qualcosa di utile per tutte le persone in difficoltà”.

Perché il Santuario galiziano?
“Ho cominciato a pensare al pellegrinaggio soltanto un mese prima di partire, poi tutto è venuto da sé: i soldi, autorizzazioni e l'attrezzatura necessaria. Ho scelto Santiago perché è un cammino di fede speciale. È un viaggio umile che offre la possibilità di confrontarsi con se stessi, le proprie difficoltà e quelle dei pellegrini provenienti da ogni angolo del mondo. C'è anche un significato simbolico: il percorso procede da Est a Ovest, dall'alba al tramonto, dalla vita alla morte interiore per una rinascita. E io avevo bisogno di rinascere”.



Cosa ti ha spinto a partire da solo?
“Una motivazione spirituale e umana. Dovevo imparare a conoscere il mio carattere e i miei limiti. Quando ancora potevo camminare non chiedevo mai aiuto a nessuno, ma ora mi sono reso conto che nello stesso momento in cui si riceve aiuto lo si dà, nell'arricchimento e nella scoperta reciproca. Sono partito da solo anche per non pesare su nessuno: la mia velocità di marcia era di poco superiore a quella di coloro che andavano a piedi e di poco inferiore a chi procedeva in bicicletta. Se qualcuno fosse venuto con me si sarebbe dovuto adattare alle mie esigenze”.

Ci sono state situazioni difficili?
“I momenti più belli del viaggio erano le difficoltà. Quando stavo male mi fermavo, guardavo la natura e aspettavo che qualcuno passasse per aiutarmi. Si rompeva continuamente l'easybike, che dovevo spesso sistemare da solo in modo improvvisato. Una volta si è rotta durante la salita e ho percorso 20 chilometri prima di arrivare in paese. Per la fatica mi era salita anche la febbre. Un signore del luogo mi ha accompagnato nella chiesa, ha portato l'easybike da un fabbro che sistemava trattori e insieme al parroco mi ha accolto in una stanza per pellegrini dove sono stato curato. La mattina seguente, al risveglio, ho trovato l'easybike aggiustata e sono ripartito”.

Hai mai pensato di tornare a casa?
“Soltanto una volta. Era un giorno di cattivo tempo, non incontravo nessuno per la strada e mi sentivo triste. Ad un tratto il supporto che univa la carrozzina all'easybike ha ceduto. Mi sono fermato e ho capito subito la gravità della situazione. Quando stavo per chiamare un taxi e mollare tutto, mi sono imbattuto in due ragazzi italiani a cui ho chiesto una mano per raggiungere il primo centro abitato. Entrati in paese abbiamo cercato una sistemazione per la notte, poi ho iniziato a riparare il danno con gli attrezzi portati da un abitante del posto. Non so come ci sia riuscito, ma il giorno seguente mi sono rimesso in cammino”.

Qual è il ricordo più bello?
“Arrivato a Burgos incontro una coppia di francesi che, insoddisfatti dal pellegrinaggio, mi dicono: «Per te è facile fare il viaggio seduto, perché non lo fai come noi che fatichiamo?». Mentre ci troviamo lì, si avvicina una signora svizzera che mi traduce dal francese e mi confida che anche lei vuole tornare indietro perché pensa di ritrovare se stessa lungo la strada e invece non riesce a proseguire. Parliamo qualche minuto, le spiego il senso del mio cammino e ci salutiamo. Qualche giorno dopo, in un paese vicino Santiago, la rivedo venirmi incontro: mi abbraccia e mi dice di aver fatto il biglietto del treno ma, al momento di salire, si è ricordata della nostra conversazione e ha deciso di continuare. Poche parole, poi si è allontanata commossa e da allora non l'ho più incontrata”.

Pubblicato in: Sir Italia n. 83 del 28 novembre 2008

Nessun commento:

Posta un commento