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Don Carlo Nanni |
Qual è il suo giudizio sui recenti fatti di cronaca di Nettuno, dove un gruppo di giovani ha dato alle fiamme un immigrato indiano?
"Credo sia il punto di emergenza di qualcosa di più profondo e diffuso. Di fronte al disagio, si può reagire in modi differenti: implodendo e arretrando su se stessi; manifestando aggressività nella convinzione di trovare qualcosa di esterno su cui indirizzare il proprio malessere; fuggendo dalla situazione, vendendosi a qualunque forma di droga perché lo stordimento non fa sentire e pensare; oppure si può scegliere la strada più umana, prendendo coscienza della situazione e intraprendendo un processo di maturazione interiore. Vivere nel tempo diventa allora crescita, si acquista l'esperienza e si comprende che possono essere raggiunti obiettivi positivi. Quando ci si rende conto che i propri sogni si realizzano almeno in parte, è possibile accrescere l'autostima e la consapevolezza nei mezzi a disposizione".
Si è parlato di "cosificazione della persona umana"...
"Mi domando: perché questi modi di aggressione e non altri? Dipende dall'incapacità di cogliere la profondità della vita, non solo in sé ma anche negli altri. È più semplice cosificarla, oggettivarla, materializzarla, renderla qualcosa di trattabile: a forza di mettere in luce la dimensione empirica ed economicistica, si rischia di dimenticare la sfera spirituale e della trascendenza che non è né cosificabile né oggettivabile".
Che responsabilità ha la famiglia nella crescita dei giovani?
"Si potrebbe riassumere nella locuzione latina: Medice, cura te ipsum (Medico, cura te stesso). Temo che noi adulti comunichiamo angoscia ai giovani. Anche se non lo diciamo, la nostra ossessività è spesso indice di paura. È necessario prendere consapevolezza che la famiglia può essere nuovamente luogo di sicurezza, perché insieme si possono affrontare meglio tutti i problemi. La continuità degli affetti aiuta a non vivere soltanto il momento e la fiducia di base permette di non sentirsi in balia degli eventi senza punti fermi ai quali aggrapparsi. Al di là di tutte le difficoltà, bisogna giocare in positivo con la vita familiare e lavorare sulla cultura della preventività positiva senza affannarsi in una disperata ricerca del possesso. Solo così la famiglia diventa una camera di sicurezza che permette di far respirare ai ragazzi il bene, eliminando il senso del vuoto e mostrando che ci sono altri percorsi possibili. Grazie alla politica della famiglia si dovrebbe promuovere la coesistenza tra sfera pubblica e privata".
È dunque indispensabile la partecipazione di educatori e istituzioni pubbliche…
"La responsabilità educativa deve essere condivisa. La vita è segnata dalla rete relazionale ed è fondamentale l'impegno dell'intera società educante. Tutti devono collaborare alla promozione del bene comune, a livello personale e istituzionale. I diverse strati e gruppi sociali dovrebbero essere confluenti. Nella lettera a Diogneto, si legge: «Come l'anima è nel corpo, così nel mondo sono i cristiani». In qualità di Chiesa dovremmo infondere la vita nel dialogo sociale e nella differenza, senza voler imporre ma contribuendo alla promozione della salute, del benessere e dell'espansione dei mondi vitali. È importante incoraggiare politiche rivolte a singoli educatori e istituzioni. Chiedersi: come sostenere la famiglia perché sia il luogo dell'educazione? Come incentivare il ruolo educativo e non soltanto istruttivo della scuola? Ci si deve anche interrogare sul sistema della comunicazione sociale, affinché favorisca una crescita formativa. Se siamo presi dall'ossessione del possesso e del successo, si corre il rischio che ciò che doveva essere di aiuto diventi invece un impedimento allo sviluppo della persona".
Pubblicato in: Sir Italia n. 11 del 13 febbraio 2009
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