mercoledì 8 giugno 2011

I monaci in Cina. Intervista con Matteo Nicolini-Zani

Matteo Ricci (1552-1610)
"I primi missionari cristiani in Cina di cui abbiamo notizia, tra il VII e il IX secolo, sono stati dei monaci. A quel tempo non era una cosa strana per la Chiesa assira, al cui interno il monachesimo era fiorente e sviluppato. La Cina è stato il punto di arrivo di numerose missioni verso est: monaci che partivano dalla Mesopotamia o dalla Persia raggiungevano l'impero asiatico per confrontarsi con un contesto culturale e religioso tanto differente da quello cristiano". A conclusione del simposio "Mission and Monasticism" (Roma, 7/9 maggio) organizzato dalla Facoltà teologica del Pontificio Ateneo Sant'Anselmo in collaborazione con diverse Congregazioni monastiche per riflettere sulla relazione tra monachesimo e missione in chiave storico-teologica, Matteo Nicolini-Zani, monaco della Comunità di Bose e relatore al convegno in qualità di esperto di storia del cristianesimo in Cina, riflette sull'impegno missionario monastico nel gigante asiatico. "La prima missione dei monaci sino-orientali - spiega Zani - coincideva con la dinastia Tang. Un periodo di grande apertura che ha permesso l'arrivo in Cina di molte religioni, anche grazie alle possibilità offerte dalla Via della Seta e dai commerci che si svolgevano in Asia centrale". Al monaco di Bose abbiamo rivolto alcune domande.

Qual è la situazione odierna della presenza missionaria monastica in Cina? 
"Bisogna aspettare la seconda metà del XIX secolo per vedere i primi monaci occidentali, cistercensi e benedettini, sul territorio cinese. Tuttavia, a causa della Rivoluzione comunista, quest'esperienza non ha avuto lunga durata e fino a poco tempo fa non si è più parlato di missionarietà monastica in Cina. Oggi, però, c'è un rinnovato desiderio nella Chiesa cinese di dare seguito a questa dimensione essenziale della spiritualità cristiana. Dagli anni Ottanta del secolo scorso, la presenza religiosa femminile ha potuto riprendere ufficialmente e al momento ci sono diverse Congregazioni femminili di vita attiva e contemplativa. Ma le autorità politiche e l'Associazione patriottica cattolica cinese (divisione dell'Ufficio affari religiosi della Repubblica popolare cinese creata nel 1957 per controllare le attività dei cattolici nel paese, ndr) non hanno mai permesso la nuova fioritura di una vita religiosa maschile.
Ci sono tuttavia dei segnali di ripresa, come le collaborazioni con alcune comunità tedesche di missionari benedettini ai quali la Chiesa cinese si sta appoggiando per avere aiuto nella formazione dei primi monaci. Il discorso, poi, si fa più complesso se si pensa alle comunità cattoliche clandestine, all'interno delle quali ci sono ancora sparute presenze di monaci che sopravvivono con grandi difficoltà".

Che ruolo hanno le comunità monastiche nei processi di dialogo interreligioso tra fede cristiana e spiritualità orientale? 
"Dalle poche testimonianze che abbiamo della presenza monastica nel passato, vediamo che c'è stato un momento di confronto e interazione profonda con le grandi religioni presenti in Cina. In particolare con il buddismo, più organizzato e strutturalmente vicino al modello monastico delle altre, i cui monaci erano spesso in contatto con quelli cristiani. Nonostante quest'esperienza sia terminata dal punto di vista storico, il dialogo tra le religioni è ancora molto sentito nel monachesimo. Un organismo internazionale con sede in vari paesi europei, il Dialogo interreligioso monastico, organizza scambi con monaci buddisti soprattutto del Giappone. È un impegno che continua, nel confronto di vite e di esperienze più che nel dibattito teologico, al fine di permettere la conoscenza reciproca. Per la Cina, purtroppo, questa possibilità di incontro è ancora molto difficile da realizzare ma si sta lavorando nella giusta direzione".

È ancora possibile parlare di "inculturazione", secondo un modello che tenga conto delle realtà autoctone e introduca in esse l'insegnamento della Chiesa? 
"Non solo è possibile ma auspicabile. È indispensabile fare tesoro delle esperienze passate e impegnarsi con ancora maggiore slancio in questo campo, modificando il paradigma teologico secondo un diverso approccio missionario capace di comprendere che non è possibile portare un modello cristiano culturalmente occidentale in un contesto tanto differente come la Cina. Fare questo è possibile e ci sono già esempi di impegno concreto che invitano a ritenere che questa pista sia percorribile: missionari, persone che lavorano in Asia e che sono quotidianamente in contatto con tradizioni culturali e religiose locali. C'è oggi un interesse molto più forte del passato, che lascia intravedere un futuro aperto a nuove soluzioni attente ai mutati contesti socio-culturali. Se si desidera che il cristianesimo abbia un futuro in Asia, non ci può essere altra strada da percorrere".

Pubblicato in: Sir Italia n. 33 del 13 maggio 2009

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